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mercoledì 6 giugno 2007

Turistas: anche la tensione va in vacanza


Alla fine, Turistas non è neanche uno dei peggiori horror usciti negli ultimi anni. Anche perchè segue uno schema fisso senza inventarsi cose assurde o imbarazzanti: presentazione dei protagonisti (sempre antipaticissimi ragazzi in vacanza all'estero) per un bel po' e poi il macello. Purtroppo l'horror parte dopo cinquanta minuti, forse un po' troppi, nonostante qualche piccola scena (notevole il paletto conficcato nell'occhio di un uomo). Passata la prima oretta di stanca, restano una quarantina di minuti con un po' di gore (la versione unrated presenta un'operazione di trapianto d'organi decisamente carina: ma non aspettatevi un tripudio di sangue, anzi) e il solito gioco tra il gatto e il topo. Questa volta, però, fra i boschi e persino sott'acqua, tra le caverne sottomarine, in una delle poche sequenze valide della pellicola.

John Stockwell (eh sì, il protagonista del carpenteriano Christine) è fissato proprio con l'acqua, vedi i precedenti Blue Crush e Trappola in fondo al mare, e sarà per questo che riesce a catturare l'attenzione dello spettatore proprio nella già descritta sequenza sottomarina. Però c'è da dire che non c'è un vero momento di paura, e soprattutto non c'è tensione. Che se ne sia andata in vacanza anche lei come i bellissimi protagonisti di Turistas? Ma soprattutto, confrontato ad altri horror vacanzieri recenti, il film di Stockwell non è crudo e violento come Le colline hanno gli occhi, non è politico come Hostel e non è teso come Wolf Creek.

Breach: l'inventore di bugie


Curioso come Breach rimandi ad alcuni film usciti soprattutto di recente, e come sappia comunque fondere un po' di déjà vu nel migliore dei modi, uscendone a testa altissima. C'è il senso dei valori patriottici e familisti che abbiamo visto in The Good Shepherd, e anche nel film di Billy Ray il protagonista Eric O'Neill deve servire la propria patria a costo di distruggere sè stesso e la sua famiglia come Edward Wilson/Matt Damon; e O'Neill è una talpa che non deve assolutamente farsi scoprire dall'uomo che deve incastrare, l'agente dell'FBI Robert Hanssen che per anni ha svelato importantissimi segreti sugli USA all'Unione Sovietica, come Billy Costigan/Leonardo DiCaprio in The Departed; e ci sono anche varie analogie con il recente e splendido Le vite degli altri.

Eric O'Neill deve entrare nella vita di un altro e nei suoi segreti, che oltre ai tradimenti comprendono alcune perversioni sessuali ("ma quello è il male minore", suggerisce Kate Burroughs, interpretata da un'ottima Laura Linney). E se vogliamo cercare analogie più vicine a Ray stesso, basta tornare indietro al suo primo film, il bellissimo L'inventore di favole, che presentava un bugiardissimo e giovane giornalista. Anche qui il protagonista è molto giovane, e alla sua primissima prova importante per diventare definitivamente agente, interpretato da Ryan Phillippe, ormai adottato dal cinema d'autore (vedi Haggis ma soprattutto Eastwood), che offre una bellissima prova in bilico tra paura e molti dubbi. Come "l'inventore di favole", anche lui, per una causa di certo diversa, è costretto a continuare a fingere e a dire bugie su bugie, per portare a termine una missione che ha dell'incredibile e in cui lui stesso, almeno all'inizio, non crede molto. Possibile che un ottimo uomo come Hanssen, attaccato alla famiglia e ultra-religioso fino all'irritante, possa aver fatto ciò che si dice?

The Darwin Awards: suicidi accidentali che deludono le aspettative


Gli amanti di Internet lo sanno bene: il sito darwinawards.com premia ogni anno le morti accidentali più assurde: premia quindi, post mortem, quelle persone che hanno aiutato il pool genetico umano a migliorare uccidendosi in modo notevolmente stupido. L'idea del terzo film di Finn Taylor, alla fine, è interessante e, se si può definire così, simpatica: costruire una pellicola su alcune stupide morti (alcune, a dir la verità, nel sito col tempo si sono rivelate false e costruite a tavolino) tentando la via della comicità demenziale e grottesca.

Troviamo quindi Joseph Fiennes, poliziotto che ha perso il posto per aver fatto fuggire un serial killer, che decide di indagare su queste morti assurde, affiancato da Winona Ryder, un'investigatrice che lo aiuterà e che sarà in qualche modo anche "la sua vista" (il personaggio di Fiennes sviene ogni volta che vede il sangue). Qualche incidente, nella sua paradossalità, strappa la risata, e qualche cattiveria al sangue viene sparsa lungo la pellicola (notevole la trapanata accidentale di un dentista ai danni del paziente). Ma c'è qualcos'altro di positivo in questo filmetto? Se qualcuno vuole crearci su teorie sulla stupidità americana, oppure sui generi, che qui vengono mescolati un po' a casaccio, è liberissimo di farlo.

Grindhouse - A prova di morte e citazionismo


La fotografia è graffiata e a volte la pellicola salta; manca una bobina o forse ne mancano di più. Va via il colore e ci ritroviamo a guardare un'intera sequenza in bianco e nero. Ma non abbiamo pagato un biglietto per vedere due film, e non ci hanno inserito nessuno fake trailer in mezzo. Certo, Death Proof è più lungo di mezz'ora rispetto alla sua versione originale in Grindhouse, ma è la natura in sè dell'operazione che non c'è più: il più grande difetto di Grindhouse - A prova di morte non è suo, ma della legge di mercato. Che così non ci fa apprezzare i vari ammiccamenti reciproci tra i due film di Rodriguez e Tarantino, non ci fa godere di tre ore e passa di pulp e violenza, di divertimento, risate e follia, spesso delirante come i fake trailer. E per giudicare il vero film dovremo non solo aspettare Planet Terror, ma probabilmente (se mai ci sarà) la versione dell'originale Grindhouse in dvd. Sognare è lecito.

Ma si può ovviamente dare un giudizio su ciò che abbiamo visto, in attesa di modificare la nostra opinione. Qualcuno lo definisce un puro e ruffiano esercizio di stile, qualcuno pensa sia geniale. Il film di Quentin Tarantino è l'ennesima dimostrazione dell'amore per il cinema del suo folle autore: capire le citazioni diventa un gioco e un piacere per lo spettatore, che si diverte con una storia "bassa" e tenta di cogliere i vari riferimenti sparsi qua e là. Ed ecco che qualcuno esclama "ma la ragazza indossa la maglietta de L'ultimo buscadero di Sam Peckinpah!", oppure si è presi dall'euforia quando Kurt Russell (cattivissimo e lontano dai suoi personaggi carpenteriani) scatta le foto alle sue vittime come l'assassino de L'uccello dalle piume di cristallo di Dario Argento (notevole l'uso della colonna sonora originale del film, composta da Ennio Morricone, e il tema fa coppia con quello utilizzato in Kill Bill di Sette note in nero).